La Siria è un Paese che, dopo 8 anni di guerra ininterrotta contro un esercito di tagliagole islamici guidati da sauditi, petro-monarchie del Golfo, Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Turchia e Israele, si sta avviando verso un difficile processo di pacificazione. Ma c’è chi ancora soffia sul fuoco affinché il conflitto si prolunghi ulteriormente e mantenga alta la tensione in tutta l’area. Soprattutto dopo l’annuncio di Trump di ritirare le truppe americane da quello scacchiere bellico. Così ieri notte, per l’ennesima volta, un raid israeliano ha colpito la base aerea siriana T4, a 60 chilometri da Palmira. Fonti militari siriane, anche se non ancora in forma ufficiale, hanno confermato l’incursione e riportato che “quattordici soldati sono rimasti uccisi e una trentina feriti”. L’attacco sarebbe stato condotto da missili da crociera provenienti da Israele e Damasco sostiene di averne abbattuto “almeno otto”. Alcuni però hanno oltrepassato le difese anti-aeree attorno alla base e colpito un hangar in cemento armato, che è stato completamente distrutto, dove erano posti al riparo droni militari d’osservazione. Insomma l’ennesima bravata per rialzare l’asticella e provare a ridare fiato alla terza fase di guerra contro la Siria. Una politica criminale, con la scusa di presunti attacchi chimici governativi a Douma del tutto indimostrati, che per gli strateghi del caos in Medio Oriente è indispensabile alimentare a ogni costo. E considerato il peso specifico che costoro hanno all’interno dell’amministrazione americana, l’effetto domino di tali azioni è potenzialmente devastante.