Nella politica italiana vi è una figura intramontabile: il “rieccolo”. Così era soprannominato Amintore Fanfani, la cui esperienza poltica e istituzionale nel momento in cui sembrava concludersi ritornava sempre a nuova vita, e per decenni e decenni è andato avanti così.
Oggi il testimone del “rieccolo” è stabilmente in mano a Uolter Veltroni, che nel 2006 promise, ospite in RAI da Fazio, che dopo il secondo mandato da sindaco di Roma considerava “conclusa la mia avventura politica perché non bisogna fare la politica a vita”. Il suo sogno era “fare un’esperienza di volontariato in Africa”, progetto subito accantonato per creare quell’arma di distruzione di massa chiamata PD, per poi candidarsi a presidente del consiglio nel 2008 (perdendo contro Berlusconi).
Ora il Partito da lui creato è in mano al degno erede Matteo Renzi, che da ex rottamatore non può fare altro che riciclare le vecchie glorie del PD. E chi dunque meglio del “padre fondatore” Uolter l’africano, ora che dopo aver devastato un paese c’è la priorità dello ius soli?
Perché Veltroni è un uomo di parola e l’Africa, come aveva profetizzato con una delle sue usuali immagini poetiche, “in un futuro prossimo sarà sempre più dentro di noi”.