Con le due risoluzione del Consiglio di Sicurezza ONU contro la Libia del marzo 2011 (n. 1970 e n. 1973), sono stati congelati circa 200 miliardi di dollari di fondi d’investimento libici presenti in banche e grandi imprese europee, tra cui le più importanti sono italiane (UniCredit, Finmeccanica, ecc.).
Dopo la guerra e la caduta di Gheddafi si è mantenuto il blocco di questi fondi, salvo un’unica eccezione: l’acquisto di medicinali e cibo che, in ogni caso, devono essere autorizzati da organismi preposti dall’ONU. Non riuscendo negli anni seguenti a ricostruire un governo unitario per la Libia, nessuno ha quindi più avuto la titolarità per ottenere indietro gli enormi fondi congelati nelle cassaforti straniere.
La verità è che con la guerra del 2011, tra i vari obiettivi da raggiungere, tra cui quello di bloccare a tutti costi l’introduzione del dinaro d’oro in Africa e confiscarne le risorse energetiche, vi era anche quello d’impossessarsi del cospicuo bottino libico presente all’interno del sistema economico europeo, e di cui il Paese nordafrico non rientrerà mai più in possesso. Come sempre accade, dietro al caos umanitario vi sono sempre ragioni ben più corpose.